Le Chiese di Roma: "S. Alessio all'Aventino"

Fra sogni e realtà, storia e leggenda continua il percorso sul Colle Aventino

"...in un sottoscala dove Alessio visse i restanti giorni della sua vita: nel momento stesso in cui morì, tutte le campane di Roma suonarono miracolosamente da sole."

Ispirato dal libro "Le Chiese di Roma negli acquarelli di Achille Pinelli" apro una nuova serie fotografica dedicata a questi luoghi di culto.
Le Chiese di Roma sono più di 900 e ciò ne fa la città con più chiese al mondo; la loro storia accompagna quella della città da diciassette secoli, segnandone l'evoluzione religiosa, sociale ed artistica.

22) S. Alessio all'Aventino

La chiesa di S.Alessio è antichissima, forse del III o IV secolo. Fu dedicata in origine a S.Bonifacio, il patrizio romano martirizzato a Tarso di Cilicia, e costruita, secondo la tradizione, sulla casa del padre di Alessio, Eufemiano. L'oratorio, successivamente ingrandito ed elevato a basilica, venne dedicato ai due santi: il nome di Alessio vi comparve associato dopo ben sei secoli. In seguito il nome di Bonifacio cadde ed eponimo della chiesa rimase il solo Alessio. I religiosi che officiavano la basilica ottennero da Alberico II, nel 937, alcune case limitrofe che, riadattate, formarono il primo nucleo del monastero posto sotto la cura di S.Addone, abate di Cluny. Verso la fine dello stesso secolo papa Benedetto VII affidò la chiesa ad una comunità di monaci Basiliani, rifugiatisi a Roma insieme all'arcivescovo Sergio di Damasco, costretto dai Saraceni a fuggire dalla sua città. Nel XII secolo il monastero, ormai abitato dai Benedettini, venne ricostruito dai Crescenzi. Altri restauri interessarono il complesso nel corso dei secoli successivi: nel 1216 da Onorio III, nel 1431 dai Gerolimini, alla fine del Cinquecento quando papa Sisto V elevò la chiesa a titolo cardinalizio, nel Seicento dal cardinale Guido di Bagno ed infine nel 1750 dal cardinale Andrea Querini che commissionò a Tommaso de Marchis l'ampliamento del convento e la nuova facciata della chiesa. Il portico presenta eleganti colonne inserite nei pilastri con un timpano situato sopra il fornice centrale maggiore; il piano superiore è costituito da cinque finestre alternate da lesene con capitelli corinzi, sopra il quale corre una balaustra con vasi marmorei.

Leggermente arretrata si intravede la copertura a timpano della chiesa ed il bellissimo campanile romanico a cinque ordini con serie di doppie bifore, costruito da papa Onorio III . Il portale cosmatesco dell'epoca di Onorio III introduce all'interno della chiesa, divisa in tre navate da pilastri ornati da paraste scanalate e capitelli corinzi. Vi sono conservati il bellissimo tabernacolo cinquecentesco di D.Ferrerio, detto "il Baglione", con le figure dei santi vissuti nell'abbazia ed il ciborio a cupola sorretto da colonne di marmo greco. Nell'abside possiamo ammirare 2 delle 19 colonne che ornavano l'antica chiesa del Duecento e che oggi incorniciano l'iscrizione che ricorda le reliquie dei Ss.Bonifacio e Alessio. La cripta conserva invece le spoglie di S.Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, ed una colonna tradizionalmente ritenuta quella sulla quale fu martirizzato S.Sebastiano. Molto bello il chiostro realizzato nel corso del Cinquecento, a pianta rettangolare con sette arcate nei lati lunghi e sei nei lati corti con un pozzo ottagonale del 1570 al centro: notare il pesante coperchio in legno consumato dalle mani dei fedeli perchè ritenuto il pozzo al quale attingeva il santo durante la sua permanenza finale nella casa. Questo aspetto ci introduce alla nota leggenda secondo la quale S.Alessio, contrario alle nozze volute dal padre, il senatore Eufemiano, fuggì dal palazzo che sorgeva dove oggi è la chiesa e visse in esilio, in Siria, ben 17 anni. Tornato alla propria dimora povero ed invecchiato, non fu riconosciuto da nessuno ed il padre, credendolo un povero pellegrino, gli concesse alloggio in un sottoscala dove Alessio visse i restanti giorni della sua vita: nel momento stesso in cui morì, tutte le campane di Roma suonarono miracolosamente da sole. La leggenda è giunta fino a noi dopo numerose interpolazioni di scribi, giullari, cantastorie (dimostrato da il "Ritmo", uno dei documenti più antichi dell'italiano volgare), trovatori e comici, fino ad essere musicata da Stefano Landi su libretto del cardinal Rospigliosi. Venne rappresentata l'8 febbraio 1634 nel teatrino di palazzo Barberini ed ebbe enorme successo. Ai primi del Novecento fu rappresentata, in prosa, dai "Compagnons de Nôtre Dame" di Henri Ghéon.

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